Delos 21: Racconto racconto di

Giandomenico Antonioli

DATEMI

LA MIA DOLCE GEISHA

Questo originalissimo racconto è tratto dall'antologia Terzo Millennio, curata da Franco Forte e pubblicata nei Libri di Avvenimenti. Può essere acquistata in edicola al prezzo di L. 3.900. Antonioli, laureato in ingegneria a Milano ma residente in provincia di Chieti, ha pubblicato diversi racconti su "Alter-Alter", "Dimensione Cosmica", "L'Eternauta" e altre riviste.

Il suo nome era Philip K. Dick. Era uno dei migliori creatori di mondi.

Non ditemi cosa devo fare. Era il suo motto.

Kurt Vonnegut sospirò adagio sul letto di morte. Philip K. Dick si chinò su di lui pronto a coglierne l'ultimo pensiero. Esso fu: dannata cosa!

William Gibson restò perplesso. Joseph Farmer non trovò parole. Van Vogt sorrise pacatamente. James Ballard ebbe un sussulto.

La Compagnia degli Scrittori Riuniti ebbe il suo daffare. I politici non sapevano che pesci pigliare. Per tutti gli Universi Paralleli!

Quando Dick venne a trovarmi, quella notte, io ero in compagnia di una geisha che mi massaggiava i piedi. Mi capitano sì, mondi del genere. Naturalmente il mio nome è Hugo. Hugo Gernsback. Non sapevo che allora cominciava la storia. Sarei dovuto restare con la mia geisha, la mia esotica...

IL PARADOSSO DI RUSSEL

Si consideri l'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi. Tale insieme è un elemento di se stesso?

Partimmo da lì. Il primo fu Dick.

Tutto cominciò con una strana applicazione della Semeiotica.

Allora: gli scrittori hanno trasmesso la propria personalità nelle opere scritte. Tale personalità, si intende, riguarda solo l'aspetto letterario. Cioè: se Alessandro Dumas è un borghese bigotto e ipocrita questo non conta, conta quello che ha scritto, ciò che ha trasmesso nel proprio lavoro. Chiaro? Lo scrittore Alessandro Dumas è un avventuriero leggiadro, indipendentemente dall'uomo. L'uomo passa, lo scrittore resta.

I Semeiotici riuscirono dapprima a trovare un codice per condensare la personalità letteraria di uno scrittore. Un codice numerico. Gli Informatici applicarono il metodo.

Poi vennero i Biologi che determinarono la mappa del cervello umano. Ad ogni singolo ganglo cellulare associarono un'emozione, un microcarattere corrispondente. Gran lavoro!

Gli Elettronici trovarono il modo di trasformare il codice-scrittore in segnali elettrici applicabili, tramite opportune interfacce, al cervello umano. Il più era fatto. Il mondo impazzì.

Naturalmente il corpus di opere deve essere consistente e il più possibile completo.

Perciò - basta volerlo - uno può sottoporsi al procedimento di conversione. Io divenni Philip K. Dick.

Ma non proprio lui, sia chiaro. Io divenni le opere di Philip K. Dick, la personalità dello scrittore di quelle opere.

Il mio migliore amico preferì Hugo. Hugo Gernsback. Inutile dire che amavamo la fantascienza. Meglio ancora: eravamo scrittori di fantascienza falliti.

Inutile dire che non scrivemmo nessun libro, dopo. La cosa non funzionava. Non eravamo gli scrittori. Eravamo le loro proiezioni letterarie. Le proiezioni non scrivono libri, scoprimmo. Ma si divertono a far finta.

Il mondo impazzì. Si riempì di scrittori. Venne fuori che c'era un mucchio di gente che non voleva più essere se stessa. Voleva essere Kafka, e Joyce, e Proust, e Leopardi, e Ezra Pound, e Henry Miller, e Steinbeck, e Calvino, e Ignazio di Loyola, e Hemingway e compagnia bella.

I più originali si rifacevano ai minori. Conobbi un tale che era diventato un certo Johann Georg Jacobi, uno scrittore tedesco del 1800 o giù di lì, autore di poesie anacreontiche. Ma, ripeto: divenne ciò che era impresso nelle poesie anacreontiche! Un disastro, ma il tipo era contento, diceva. Io non gli credetti. Secondo me era al verde e non poteva, come si dice, riconvertirsi in qualcosa di più umano. L'economia ha le sue leggi. Jacobi te lo regalano per quattro crediti.

Noi, amanti della fantascienza, scegliemmo scrittori di fantascienza. Nessuno se ne pentì mai.

Creammo per noi la Compagnia degli Scrittori Riuniti. Solo Scrittori di Fantascienza, s'intende. è vero che spesso avevamo tra noi accanite discussioni sulla selezione dei nuovi soci. Ma faceva parte del Gioco. Ci riunivamo in un locale che aveva per nome "Le sabbie di Marte". Il gestore era Arthur Charles Clarke, uno degli uomini più simpatici che mi sia mai capitato di conoscere.

Cosa si prova ad essere Philip K. Dick? Spesso una granconfusionementale. Da acido lisergico, per intenderci. Ma alla fine è divertente.

Niente libri perciò, ma Philip K. Dick scoprì allora di avere un talento eccezionale come creatore di mondi. C'era da aspettarselo, d'altra parte.

Naturalmente tutti possono crearsi il proprio mondo ma, come diceva qualcuno, c'é mondo e mondo. E quelli creati da Dick erano sicuramente i migliori. Mondi che quando ci entravi non ne volevi più uscire. Mondi ricchi, pieni di cose. Solo che, ultimamente, stavano diventando un po' monotoni.

Hugo indossò la tuta sensoriale e accese il Sistema. La storia riprese dal punto in cui l'aveva lasciata. La geisha gli massaggiava i piedi. Philip K. Dick venne a trovarlo.

- Cosa diavolo vuoi?

- Ho scoperto qualcosa...

- Ancora? Ma quando la smetti?

- Questa volta è qualcosa di sicuro.

La geisha, da dietro, gli carezzava dolcemente le spalle.

- Da quando è morto Vonnegut non hai più pace. Devi rassegnarti. è stato un semplice incidente.

- Semplice incidente? Come puoi pensarlo ancora? Un intero generatore molecolare che si stacca dalla parete e gli precipita addosso? Non era mai accaduta una cosa simile.

- E allora? Cosa hai trovato?

- Ce l'hanno con noi Scrittori di Fantascienza. Ci vogliono uccidere tutti.

- Ma che dici? Chi ci vorrebbe uccidere?

La geisha stava arrivando con le sue mani in parti molto delicate. Hugo socchiuse gli occhi.

- Philip, Philip... Non vedi che sono occupato? Di che parli?

- Kurt aveva ragione, aveva...

Staccò il contatto. Era stanco di quel mondo. Ne avrebbe chiesto uno nuovo a Philip, uno più naturale. Era la terza storia di Alieni che gli proponeva. Era stufo di Alieni. Ma la geisha personale, quella gli avrebbe chiesto di lasciarla, quella sì.

- Senti Philip, - gli disse Hugo, - credi di star bene? è da un po' di tempo che non fai altro che produrre storie con Alieni. Alieni di qui, Alieni di là... C'é un mucchio di gente che si sta stancando di questo alieneggiare... E anch'io, ti assicuro, se non fosse per Liu Pen non...

- Hai ragione. - rispose Philip - Ma cerca di capirmi... Da quando è morto Vonnegut io...

Hugo impallidì.

- Come morto? Vonnegut è morto? Ma ti sbagli! Quello è accaduto nel mio mondo... Vonnegut è ben vivo. L' ho visto appena ieri e...

- No! Sei tu che sbagli! Vonnegut è morto realmente. è morto qui, nel mondo reale.

Gertrude Stein lasciava che il vento le scompigliasse i capelli, lì, in cima al promontorio sul mare. C'era una luminosità stupenda. Sartre era pigramente sdraiato ai suoi piedi.

Dapprima pensò che la macchia scura fosse solo una nuvola. Ma un attimo prima il cielo era limpidissimo. Alzò gli occhi e vide quella terrificante astronave.

Gli Alieni scesero dall'astronave. Erano lunghi e bitorzoluti. Emanavano un fetore insopportabile. Non indossavano tute ma solo, sembrava, un piccolo congegno inserito in quello che doveva essere un loro organo vitale, una specie di cratere in miniature che si apriva sulle loro... teste?

Chiesero di vedere Philip K. Dick. Lo chiese il Comitato Mondiale, per via ufficiale. Quale Dick? Risposero. In giro ce ne sono almeno mille... No - controllarono - esattamente ci sono duemilatrecentocinquantatré Philip K. Dick... è uno dei più replicati... Insieme a H.G. Wells, che lo supera di - controllarono ancora - seicentoventuno...

Quello che fa il creatore di mondi. Precisarono.

Volevano parlare con me.

Il colloquio ebbe luogo in zona neutrale.

- Basta con i tuoi mondi. - dissero loro.

- Perché? - chiesi io.

- Dai di noi una immagine distorta. Non corrispondente alla realtà.

Ma come era il mondo fuori? Spesso me lo chiedevo. Noi eravamo qui. E gli altri? C'erano ancora gli altri? Se ne sapeva qualcosa?

Il Comitato si interessò di quello che stava facendo Dick. Di solito non accadeva. I mondi non venivano controllati. Tutto era libero, lì. Anche e soprattutto il sesso. Non così nella vita reale. Lì invece quasi tutto era controllato, anche e soprattutto il sesso. NON SONO PERMESSI ACCOPPIAMENTI AL DI FUORI DAL PIANO GENETICO AUTORIZZATO.

Hugo pensava a una forma di nevrosi. Alieni da tutte le parti! Non se ne poteva più. Era preoccupato: di questo passo la gente avrebbe smesso di richiedere mondi al suo amico Philip. Anche lui avrebbe smesso, se non ci fosse stata Liu Pen.

Effettivamente tutto era cominciato con la morte di Vonnegut. Morte reale. Hugo aveva faticato a crederci, ma era così. Da un po' di tempo non riusciva a separare il mondo simulato da quello reale, ma non se ne preoccupava. Capitava a tutti. Come la chiamavano? Sindrome di... Non lo ricordava più... Münchhaunsen?

Vonnegut se ne andava in giro parlando di strane cose. Diceva che tutto quello che ci raccontavano era falso. Tutto cosa? - gli chiedemmo. Tutto! - rispose lui storcendo la bocca. Questo era Vonnegut, quell'eversivo.

Allora gli cadde addosso il generatore molecolare. In effetti non si era mai verificato un simile incidente.

Vonnegut aveva lasciato un messaggio inciso nel memorex della sua camera. Recitava il paradosso di Russel. Per Philip era una traccia. Per me era un paradosso.

Da allora cominciarono ad apparire Alieni in tutti i mondi. Il Comitato intervenne. Mi chiesi perché. Anche questo non era mai accaduto.

Hugo Gernsback si chiese cosa fosse il Tutto di Vonnegut e in quale modo potesse avere a che fare con in paradosso di Russel. Si consideri l'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi... E gli Alieni?

L'insieme di tutti gli insiemi che non sono elementi di se stessi. Non sono elementi di se stessi...

Hugo Gernsback fece uno sforzo per fare mente locale. Smise per qualche tempo di entrare nei mondi simulati. Provò a rintracciare Philip, ma inutilmente. Non rispondeva alle chiamate e non apriva la stanza della sua camera. Allora cominciò dall'inizio.

Cosa ci dicevano. Tante cose. Su quali ci stavano mentendo, secondo Kurt? Sulla necessità del Piano Genetico? Questo lo pensavano in molti, specie tra i giovani, ma poi si rendevano conto che corrispondeva a una reale necessità. E poi i mondi sessuali fornivano in abbondanza tutte le sensazioni a cui ci imponevano di rinunciare. Oppure sullo stato delle risorse energetiche? Dicevano che erano illimitate, ma qualcuno avanzava dei dubbi, qualcuno diceva che prima o poi anche i generatori molecolari si sarebbero esauriti, e cosa sarebbe accaduto dopo? Avremmo dovuto ricorrere alla energia nucleare? Ma saremmo stati capaci, dopo tanto tempo? Era questo? Su cosa altro potevano mentirci in modo così grave da giustificare - era certo questo che pensava Dick - l'omicidio di Vonnegut?

Forse mentivano sulla origine di tutto. Poteva essere?

Il pianeta Terra era inabitabile dall'uomo. Così: inabitabile, dicevano. Disastri ecologici. Radioattività. Inabitabile. L'unica soluzione possibile era stata rifugiarsi al di sotto della superficie terrestre, in grandi sacche scavate dall'uomo per creare un ambiente artificiale adatto alla sopravvivenza. Noi eravamo lì. Un giorno saremmo tornati alla superficie. Quando - sopra - le cose sarebbero migliorate. Quando? Non adesso, tra molto tempo. I nostri sensori controllavano l'ambiente esterno. Quando le condizioni generali lo avrebbero permesso saremmo tornati. Cinque generazioni di esseri umani erano nate e vissute in questo modo. Noi eravamo la sesta generazione sotterranea.

Perché gli Alieni?

Dick venne a trovarmi lui, di nuovo. Quella volta gli diedi retta. Mi rivelò allora quello che aveva scoperto. Non gli credetti. Ora so che è vero.

La risposta è NO. NON è UN ELEMENTO DI SE STESSO. Nel senso che non apparteniamo più al Pianeta Terra. Nel senso che siamo Alieni. Almeno credo. Se questo è il mondo reale e non uno simulato dai computers. Ma non capisco più la differenza.

Philip mi condusse nel sesto livello. Il livello proibito. Le vie di accesso erano strettamente controllate, ma lui aveva trovato una mappa tra le carte di Vonnegut. Kurt era stato sempre incuriosito da quella proibizione. Dicevano che il livello era parzialmente contaminato dalle radiazioni. Kurt sosteneva che ciò era impossibile a causa dei sistemi di difesa del nostro rifugio sotterraneo. E poi se le radiazioni avessero contaminato il sesto, allora sarebbero arrivate prima o poi anche ai livelli inferiori.

La mappa indicava come arrivare ad un vecchio ascensore del terzo livello. L'ascensore si trovava in un corridoio abbandonato da molto tempo dalla Manutenzione. Polvere e ragnatele ne ostruivano il passaggio, ma si scorgevano chiaramente le tracce di un recente visitatore. L'ascensore era stato rimesso in funzione di recente da qualcuno che doveva averci lavorato a lungo. Kurt era un bravo tecnico.

Scoprimmo così che in realtà il sesto livello era abitato da un mucchio di gente. Gente del Comitato di Controllo, per lo più, ma anche tecnici e scienziati. Kurt aveva segnato un punto della mappa con un cerchio rosso. Ci dirigemmo da quella parte riuscendo a non farci scorgere. E comunque tra tutta quella gente nessuno si sarebbe accorto di noi, credo. E pensare che doveva essere un livello abbandonato!

Lì c'era qualcosa. Io non sapevo cosa fosse. Ma Philip ne aveva un'idea. Lui aveva parlato a lungo con Kurt, anche di queste cose, evidentemente. Era un radioscopio, mi spiegò. Cosa diavolo è mai un radioscopio?

Philip si voltò verso di me che era bianco e strizzato come un lenzuolo appena uscito da una lavatrice. Cosa c'é? Guarda anche tu... Mi disse con una specie di rantolo. Guardai.

Cosa vidi? Me lo chiedo ancora. Me lo chiedo disperatamente. Ora mi dicono che è colpa della Sindrome, che ormai non posso più separare la realtà dalla simulazione elettronica. Dicono che quello era un mondo di Dick. Dicono anche che Dick ha avuto un incidente. è morto. Dicono che mi stanno curando. Che si occuperanno di me.

Ma io vidi una cupa notte rischiarata da miliardi di stelle.

Udii Dick spiegarmi che non eravamo in un rifugio sotterraneo, ma in una astronave. Poi gli uomini del Controllo ci piombarono addosso.

Dick ebbe il tempo di dirmi ancora che avremmo continuato a viaggiare in eterno, perché il Pianeta Terra non esiste più e nessun altro pianeta abitabile esiste nell'Universo, e che un giorno le riserve di energia sarebbero finite.

Ma io voglio solo la mia dolce geisha. Liu Pen. Dov'é? Voglio che mi massaggi dolcemente tutto il corpo. Voglio che mi faccia sognare.

Che differenza fa conoscere la verità se non puoi farci proprio NULLA?

Datemi la mia dolce geisha. Fatemi sognare.