Delos 23: Racconto racconto di

Pier Luigi Ubezio

il vincitore

Ragazzi, abbiamo scoperto uno scrittore nuovo nuovo, veramente molto bravo. Pier Luigi Ubezio, nato a Londra (dove è sostato giusto per il tempo di nascere), vive a Torino, lavora e studia all'Università alla facoltà di Lettere Moderne con indirizzo Tecniche della comunicazione. Ha 25 anni e scrive racconti da quando ne aveva quindici.

Tramontate stelle... all'alba vincerò.

"Nessun dorma"

1

Pensandoci bene, il giorno in cui la mia vita cambiò, fu lo stesso in cui conobbi Evan.

Naturalmente sto parlando di Evan Rexall, la leggenda.

Sto parlando del vincitore.

Nonostante siano passati tanti anni, e ci siano stati tanti altri vincitori dopo di lui, Evan è rimasto comunque Il Vincitore, e non uno dei tanti che lo precedettero o che gli succedettero. Lui è stato ed è ancora oggi l'uomo della vittoria assoluta, e adesso che sono vecchio, o quasi, posso capire benissimo che nessuno potrà mai superarlo.

Conobbi Evan su Saturno, naturalmente; a quel tempo non ero altro che un addetto ai rifornimenti di ossigeno liquido dello spazioporto, ma ero anche un discreto meccanico, nonostante comprendessi perfettamente che il mio sogno di essere capomeccanico sportivo di un qualsiasi scafo da gara di classe Star era irrealizzabile. Gente come Brian Greyful o Andrew Cox, i meccanici che avevano praticamente creato i propulsori dell'Exxon 3 e del Leffe Star, non erano certamente venuti fuori dal nulla. Avevano frequentato l'accademia di meccanica nucleare di Gheze, ed erano diventati quello che erano perché erano dei geni.

Io non mi consideravo sicuramente un genio, e non avevo neanche la più lontana possibilità di poter frequentare quell'accademia, visto quello che costava.

Dicevo di Evan. Quel giorno il lavoro era poco, e visto che avevo già finito di riempire la due cisterne ausiliarie del settore H, decisi di andare a dare un'occhiata all'attracco che tutti chiamano G. P.

Era l'attracco dove erano situati gli astroscafi da gara di classe Star, che di lì a due mesi avrebbero dovuto cimentarsi nel Gran Premio degli anelli. La gara per eccellenza, quella dove arrivavano solo i migliori.

Tenete presente che allora il Leffe e L'exxon erano non uno, ma dieci gradini sopra tutti gli altri, per via dei motori a rotazione atomica ideati dai due meccanici di cui ho parlato prima. La corsa era quindi tra loro due. L'Exxon era pilotato da Sherman, un mito, mentre il Leffe era capitanato da Morrison, chiamato il pirata per via delle sue traiettorie spinte fino ai limiti estremi.

Pensando a quest'ultima cosa, adesso mi viene da ridere. Morrison il pirata, che pena.

Allora però non la pensavo così, naturalmente.

Ma sto divagando: devo parlare di Evan, perché hanno detto un sacco di stupidaggini e di cose false sul suo conto, solo perché non lo conoscevano; o meglio, perché lui con i giornalisti non ci ha mai voluto avere a che fare. A dirla tutta, Evan non ha mai voluto avere a che fare con parecchia gente.

Mi ricordo ancora adesso che quel giorno guardai l'orologio e pensai: "Però, ho due ore intere per guardare gli scafi."

Così incominciai ad aggirarmi per gli hangar, senza incontrare nessun tipo di ostacolo, perché avevo il mio Pass rilasciatomi dall'organizzazione spazioportuale per cui lavoravo.

Fu allora che lo vidi per la prima volta.

Stava appoggiato al cofano di un vecchio mini overcraft, uno di quelli lenti che si usavano almeno dieci anni prima per gli spostamenti all'interno dello spazioporto.

Dimostrava al massimo ventidue anni.

Incredibilmente, stava fumando.

Mi avvicinai a lui, colmo di risentimento, non solo perché stava contravvenendo a una delle norme più elementari riguardanti l'interno di un hangar, ma anche perché il suo comportamento aveva un che di oltraggioso nei confronti della scafo presente in quell'hangar: quel tizio stava fumando davanti a Exxon 3, e avrei potuto scommettere cinquanta piastre che non aveva neppure un Pass di livello generico. Così mi piantai davanti a lui e dissi: "Lei, egregio signore, è in un hangar privato, senza un Pass e sta contravvenendo a una delle regole. . . "

"Chi l'ha detto che non ho un Pass?" mi chiese interrompendomi divertito. In effetti nessuno mi aveva detto che non aveva un Pass, ma ci avrei scommesso, come ha già detto.

Perdetti.

In un certo senso il Pass non ce l'aveva, ma aveva la piastra di identificazione di classe uno, il che non solo voleva dire che avevo di fronte uno dei partecipanti al Gran Premio degli anelli, ma anche che mi ero appena fatto una perfetta figura da idiota, perché Evan non solo poteva stare davanti all'Ennox, ma poteva fumare e, se avesse voluto, poteva anche mettersi a ballare una mazurka.

Feci per scusarmi e attesi una poderosa lavata di capo, ma il ragazzo mi guardò con uno sguardo strano e pieno di comprensione, quindi lo disse.

"Quella nave fa schifo."

Tutto qui; il ragazzo stava semplicemente affermando che lo scafo che avevamo davanti a noi, Exxon 3, sul quale erano stati investiti centinaia di migliaia di piastre faceva schifo.

Ora, dovete capire che non potevo accettare un'esclamazione del genere neanche se fosse venuta da Andrew Cox, per cui, al colmo del risentimento, risposi: "Io non so chi sia lei, e non ho visto neanche il suo, di scafo, ma le posso assicurare che quello che abbiamo di fronte è. . . "

"Uno schifo, appunto," mi interruppe.

Non ci vedevo più dalla rabbia, e pensai che l'unico metodo per evitarmi trent'anni di lavori forzati su Altair per omicidio, era andarmene da lì. Stavo per farlo quando il ragazzo mi chiese: "Ho letto il tuo nome sul bavero del camice, signor Adam Porsett. So che sei un discreto meccanico."

"Allora?" risposi voltandomi nuovamente verso quel tizio che in quel momento stavo detestando con tutto me stesso.

Sembra folle, ma quando trovai il suo sguardo, compresi che quel ragazzo non era normale; non nel senso che era squilibrato o cose del genere; intendo dire che il suo sguardo era carico di una consapevolezza sconosciuta. Era come se celasse un segreto che, sebbene fosse una cosa lampante, non era mai stato scoperto.

"Immagino che ti piacerebbe essere il capomeccanico di un astroscafo di classe star, no?" mi chiese scendendo dall'overcraft.

"Chi non lo vorrebbe?"

"Io. Proprio per questo, ti sto chiedendo se vuoi farlo tu."

Amici, pensai che se quel tipo non era pazzo furioso, allora tanto pareva aprire i manicomi di tutta la galassia, farci uscire i loro ospiti e farci entrare la gente normale.

"Senti, amico, io me ne stavo andando, ma se cerchi grane ti avverto che non mi piace essere preso per il. . . "

Mi interruppe di nuovo, e, gente, vi assicuro che se c'è una cosa che mi fa imbestialire, è proprio quando qualcuno mi interrompe mentre parlo.

"Vincerò il Gran Premio degli Anelli con o senza di te, ma senza sarà più difficile, e gli errori potrebbero rendere la vittoria meno bella, quindi deciditi in fretta, perché i motori di Marylyn devono essere tarati come voglio io, e non è un lavoro facile. In definitiva io sono uno skipper, mica un capomeccanico."

Detto questo salì sul suo vetusto mezzo di trasporto e se ne andò, non prima di avermi detto che alloggiava al Tucker Hotel, stanza 212.

Capite con che razza di elemento avevo a che fare? No, non potete capirlo; descritto così, Evan potrebbe sembrare un mezzo pazzo, mentre pazzo lo era del tutto; la sua follia però era qualcosa di grandioso, qualcosa che lui, più tardi avrebbe definito Wagneriano, qualunque cosa ciò significhi.

Il suo speciale tipo di follia doveva anche essere contagiosa, perché due giorni dopo il nostro incontro-scontro la curiosità mi stava facendo a brandelli. Avevo cercato il ragazzo sulla lista dei piloti, per vedere il nome del suo sponsor e leggere i dati tecnici del suo scafo, ma la sua scheda era più breve di un telegramma.

C'era scritto:

Rexall Evan

Anni: ventisei

Denominazione Astroscafo: Marylyn

Classe motore: Herzog 16KJ policristallico

Dimensioni in PM: 1699

Potenza in FD: 9978

Velocità massima Sotto-Luce: non dichiarata

Alimentazione: Cristalli di plutonio rigeneranti

Numero componenti staff tecnico: nessuno

Nominativo componenti staff tecnico: nessuno

Sponsor astroscafo: nessuno

Sponsor personali: nessuno

Era semplicemente assurdo.

Follia pura.

I casi potevano essere solo due: o a quelli dell'archivio aveva dato di volta il cervello nello scrivere quei dati, o avevo a che fare con un ragazzino che aveva superato le qualificazioni per il Gran Premio degli Anelli di Saturno assolutamente da solo. Il che, per l'appunto, era follia pura.

Così ci andai, e il colloquio fu pressapoco questo:

"Vedo che sei venuto prima del previsto, amico mio."

"Cosa le fa pensare che sarei venuto di sicuro?"

"Il fatto che l'intelligenza si accompagna sempre alla curiosità, caro Adam, e tu mi sembri un tipo piuttosto sveglio. E' più che evidente che ieri o l'altro ieri tu hai consultato l'archivio di partecipazione, e hai detto: "Ma come?! Niente Sponsor, niente staff tecnico! Come diavolo ci è arrivato?"

"Già: come ci è arrivato?" chiesi con convinzione sedendomi seccato perché non solo non mi aveva neppure offerto qualcosa da bere, ma anche perché avevo la netta impressione che quel tipo mi stesse manovrando in qualche modo.

"Questo lo capirai solo se accetterai l'incarico," disse sbadigliando senza neanche mettersi la mano davanti alla bocca.

Mi alzai, e ostentando un sorrisino tirato, risposi: "Dormirò lo stesso, stanotte," e mi incamminai verso la porta, ma qualla non si aprì. Allora mi voltai e chiesi stupefatto: "Dico, non mi vorrà mica rapire, per caso?"

"E tu non sarai mica un idiota, per caso? Dico, ma sei scemo o cosa?Il fatto che tu non abbia la minima fiducia in me, per adesso è più che normale, ma tu sei solo un addetto ai rifornimenti, perdio! Fare da capo meccanico in un G. P. di classe Star è la tua grande occasione; anche in caso di un ultimo piazzamento, la tua vita cambierà da così a così," urlò a un palmo dalla mia faccia.

Aveva ragione, gente, e aveva anche un bel po' di buonsenso. Era sempre stato il mio sogno, fin da ragazzino, e adesso volevo buttare tutto all'aria solo perché quel ragazzo mi dava sui nervi. Aveva ragione fino in fondo, e me ne resi conto quasi subito. Se lo scafo arrivava ultimo e stradoppiato il problema era suo, non mio. Lo sarebbe stato per qualunque capomeccanico, ma io ero un debuttante, venivo dal nulla e non avevo nulla da perdere. Così, due secondi dopo che Evan aveva finito di urlare, accettai, e dissi: "Domani, quando avremo definito l'accordo economico vedrò lo scafo e farò..." e quel dannato mi interruppe di nuovo.

"Domani un corno! Tu prendi milleduecento pistre di credito e non certo per andare a spasso. Si va adesso, aspetta solo dieci minuti che mi vesto," e dicendo così, mi mise alla porta praticamente di peso, sbraitando di aspettarlo nella Hall.

Milleduecento piastre di credito era esattamente quanto guadagnava Andrew Cox, per stare a bordo del Leffe. Era un contratto assolutamente assurdo, per un debuttante senza esperienza. Io guadagnavo trentacinque piastre a bimestre, per il lavoro che facevo, capite?

Fatto sta, che dieci minuti dopo partimmo per lo spazioporto, a bordo di quel ridicolo mezzo che lui chiamava James l'overcraft. Rideva come un pazzo quando parlava di James l'overcraft, ed io non ho mai capito il perché.

Mezz'ora dopo ebbi l'immenso piacere di vedere Marylyn.

Fu in quel momento che cominciai a cambiare idea riguardo a Evan Rexall.

2

Marylyn era la bellezza. Dava una parvenza di leggerezza e insieme di potenza assoluta, e quelli di voi che seguono i Gran Premi sanno di cosa sto parlando: per anni hanno tentato di scoprire i segreti del suo scafo, e mai ci sono riusciti.

Evan la guardava e l'accarezzava, come se fosse stata la sua amante, e le parlava.

Col tempo anche io incominciai a vederla non solo come un astroscafo, ma come qualcosa di vivo e pulsante.

Volli salire a bordo, per vedere com'era fatta dentro, così Evan aprì il portellone e salimmo.

Ancora una volta, mi colse l'assurdo.

"Dove sono i repulsori?" chiesi interdetto.

"Sulla cloche, no?" mi rispose candidamente.

"Li manovra lei?"

"Dammi del tu, va bene? Certo che li manovro io; questo è il mio scafo, chi vuoi che li manovri?"

Ora, signori, devo fare una parentesi, perché non è detto che tutti si intendano di scafi e di Gran Premi: uno scafo non è pilotato solo dallo skipper, ma anche e soprattutto dal suo staff tecnico: manovratori, addetti al sonar, meccanici. Un astroscafo da gara è una macchina troppo complessa perché solo uno possa manovrarla.

Il fatto che Evan lo facesse non era sintomo di follia, ma di un modo totalmente diverso di concepire i Gran Premi. Il fatto è che io dovevo ancora capirlo.

Gli anelli di Saturno sono compatti solo se visti da molto lontano, perché se ci si avvicina si vede che essi sono una grande fascia di asteroidi di tutte le dimensioni possibili ed immaginabili.

In poche parole, la gara consiste nel guidare lo scafo attraverso questi asteroidi, distruggendo i più piccoli con i laser ed evitando i più grossi con i repulsori. Questi ultimi sono allacciati tutto attorno allo scafo, in modo che quando ci si avvicina troppo ad un asteroide grosso, agiscono da respingenti magnetici. Questo perché la tattica di allora, e ad eccezione di Evan, ancora di oggi, prevedeva un percorso lineare.

Evan invece faceva un'altra cosa, e me lo spiegò quel giorno stesso.

"Vedi - mi disse mentre il suo impianto di stereodiffusione suonava un'antica opera musicale - il fatto é che fanno tutti lo stesso percorso da anni, ormai. Distruggono gli asteroidi di diametro inferiore ai quattro, cinque metri, ed evitano quelli più grossi."

"Certo, perché, tu come vorresti fare?" gli domandai io.

"Io voglio sfruttare al massimo la potenza dei motori di Marylyn, e nel frattempo evitare tutti gli asteroidi, per quanto mi sarà possibile."

"Tu sei pazzo," gli dissi dopo un buon minuto di silenzio.

Non era realizzabile, capite? Nessuno sfruttava al massimo la potenza dei motori, perché al primo grosso asteroide, i repulsori avrebbero sbalzato lo scafo fuori dagli anelli con una violenza impensabile.

"No, io non sono affatto pazzo. Ti rendi conto che ci sono dodici strati di asteroidi? Ti rendi conto che quelli che sono ritenuti i più coraggiosi ne usano sì e no quattro? Ne restano altri otto, e io li userò tutti, perdio, fino all'ultimo."

In effetti ce n'erano dodici, ma gli ultimi sette inferiori non erano quasi mai usati, perché erano formati da asteroidi troppo grossi.

Evan sosteneva che utilizzando tutta la potenza dei motori e manovrando lo scafo adeguatamente, si poteva calcolare lo sbalzo da un asteroide all'altro, raddoppiando la velocità e dimezzando il tempo di gara.

Tutto qui.

"C'è da lasciarci la pelle in malo modo," sussurrai.

"C'è da stabilire il record assoluto," rispose.

"Vuoi fare a zig zag tra un livello e l'altro a quella velocità? Dove sono i tuoi calcoli? Ti rendi conto che se sbagli di un nanosecondo finiamo polverizzati. Come diavolo fai a pilotare manualmente?" Erano tutte le domande del mondo, per me.

"I calcoli li devo fare con te; è per questo che ti ho chiamato. Io non sbaglio mai in gara, e poi non affiderei la navigazione ad un computer neanche con un laser puntato alla tempia."

Questo era Evan Rexall, signori miei.

3

Funzionava, come potete facilmente immaginare.

Provammo sul circuito degli anelli artificiali di Io, su Giove, e funzionava, perdio.

Però questa è storia, e la conoscete tutti.

Quello che voglio dire è che mi piacerebbe farvi conoscere l'uomo, non il campione dei campioni. Quei suoi modi di fare, e sopratutto quella musica e la sua convinzione di essere nato nell'epoca sbagliata.

"Io devo essere già vissuto - mi diceva sempre - e devo essere stato uno come Fitzcarraldo. Mio Dio, non ho mai sentito nulla che sia lontanamente paragonabile a Caruso."

Chi diavolo sia questo Fitzcarraldo non l'ho mai saputo, ma Caruso probabilmente doveva essere stato un cantante vecchissimo, che cantava una sorta di canzoni chiamate opera.

Lui mi parlava di Lorraine, e diceva che era la più bella ragazza del mondo, e anche la più intelligente e dolce; mi spiegava che i contratti matrimoniali, sia semestrali che annuali che biennali erano delle merdate, ecco cosa diceva.

E parlava di amore e raccontava storie di cavalieri medievali che si scannavano per il fazzoletto di una ragazza, e il bello è che, anche se non avevo la minima idea di che cosa parlasse, mi piaceva da matti ascoltarlo.

Del resto non è necessario capire una cosa che ci piace; ci piace e basta, no?

Mi ricordo di quando, ubriachi fradici, ci mettemmo a cantare quella canzone così bella davanti allo scafo di quell'idiota di Morrison, e poi vomitammo tutto.

Già, quella canzone. "Nessun dorma," si intitolava, ed Evan la ascoltava praticamente ventiquattro ore al giorno... Ma il mio mistero è chiuso in me, il nome mio nessun saprà, no, no, sulla tua bocca... ed il mio bacio scioglierà il silenzio... tramontate stelle, tramontate stelle, all'alba vincerò.

Era qualcosa di inspiegabile nella sua purezza, e poi quella voce: così limpida e pura, e gli occhi di Evan che diventavano lucidi.

Sognava di prati e ruscelli che li tagliavano senza dolore, e di cieli stellati, tanto limpidi da impaurire.

Un giorno mi disse che dopo la gara, una volta tornato a casa, avrebbe lasciato Marilyn in orbita e sarebbe sceso con la navetta di emergenza; poi sarebbe andato in un posto di sua esclusiva conoscenza, dove c'era un grande prato, e avrebbe atteso la notte; avrebbe aspettato che Marilyn raggiungesse la posizione giusta nell'orbita e l'avrebbe fatta esplodere.

"Sarà come una stella - diceva - e la vedrò solo io."

"Perché?" gli chiesi.

"Perché lei è fatta per primeggiare, e lo farà in modo definitivo," mi rispose sorridendo e guardando lo scafo.

4

Se vi aspettate che vi racconti della gara sbagliate di grosso. Sapete tutti come andò.

Tutto funzionò a meraviglia: lui pilotava e non sbagliava di un millesimo ed io gli davo tutta la potenza disponibile al momento giusto.

Tutto qui: in definitiva fu tutto molto facile, non trovate?

Dopo aver tagliato il traguardo scendemmo al punto d'arrivo e uscimmo dalla pancia di Marilyn.

Ci aspettavamo qualcosa come duecentomila bocche urlanti.

Erano tutti muti.

Evan mi guardò e mi disse serio: "Questi idioti non hanno capito nulla."

Iniziò ad applaudire un ragazzo che stava in prima fila, al di là delle transenne.

Poi tutti gli altri, ma non era molto importante; il primo era stato quel ragazzo, e la sua faccia me la ricordo ancora adesso. Era la faccia di uno che è assolutamente estasiato da una cosa che è al di là della sua comprensione.

Fummo premiati e festeggiati, ma tutta la baraonda del circus dei gran premi non riusciva a prendere quota: regnava un'atmosfera surreale.

Nessuno capiva né come né perché uno sconosciuto era riuscito a fare una cosa simile; mi ricordo di aver percepito una sorta di freddezza e di ostilità da parte di molti che ci osservavano come se fossimo alieni. Immagino che pensassero: "Ma perché diavolo siete venuti qui? Non potevate vincere e basta? Non potevate solo ritoccarlo, il record?"

No, che non potevamo.

Certo che non potevamo: se una cosa si fa, la si fa per bene,

Perdio.

Ci diedero l'assegno e la coppa, e incisero il nostro nome con il laser sulla lastra d'oro dietro al podio. La lastra dei record. Ogni tanto ci passo ancora, lì davanti, e vedo ancora che il mio e quello di Evan sono gli ultimi due nomi.

Mi piace vederlo.

In qualche modo mi tiene vivo.

5

Nonostante io parli continuamente di comprensione, fino a quando non arrivò l'impresario, non capii nulla neppure io.

L'impresario si presentò ad Evan come il Signor Karrel, già manager di alcuni tra i più famosi skipper da Gran Premio.

Arrivò nel nostro camerino dopo circa mezz'ora dalla premiazione.

Fu strano, come tutto ciò che faceva Evan; prima che l'impresario si presentasse, Evan mi guardò negli occhi e disse: "Eccolo qui."

"Spero che lei si renda conto del fatto di aver appena fatto una delle cose più straordinarie. . . "

"Venga al sodo, signor Skarrel," lo interruppe Evan.

Dio, come sapeva interrompere bene!

"Io sono qui per proporle un contratto che. . . "

"Se ne vada."

Glielo disse con voce atona, fredda. Più fredda di una luna di Nettuno.

L'impresario volle sapere perché se ne doveva andare, ed Evan lo scaraventò letteralmente fuori dal camerino; forse gli fece male, a pensarci bene. Poi chiuse la porta e si voltò.

"Io torno a casa da Lorraine. Ho finito, qui."

Capii tutto solo dopo aver fatto la domanda.

"Perché l'hai fatto? Quello era Shoren Skarrel, perdio! Ci potrebbe procurare Sponsor e soldi a palate, Cristo santo!"

Mi afferrò e mi sbattè contro la parete.

"Idiota figlio di puttana! Possibile che neanche tu capisca?" mi urlò in faccia.

Io mi divincolai e lui mi lasciò, quindi si sedette sul letto e mi guardò con gli occhi più tristi dell'universo intero.

"Non te ne importa niente," gli sussurrai.

"No," mi rispose.

"Ma allora perché?"

Accadde qualcosa che non capirò mai.

Incominciò a piangere.

"Neanche tu," mi disse con la voce rotta dal pianto. Si alzò e iniziò a fare le valigie, e intanto parlava.

"Una vittoria è una vittoria, amico mio; tutti quei cartellini attaccati alla tuta non la rendono più bella: la oscurano, capisci? Ho vinto io, senza l'aiuto della Rossel Cola, hai vinto tu, senza l'aiuto della Matsushita Corporation, e ha vinto Marylyn, senza nessuna scritta attaccata sul suo bel pancione. Ha vinto il coraggio, e la voglia di cambiare che è propria dell'uomo.

Il denaro compra ciò che si fa comprare, amico mio, e non è stato il denaro a spingere Michelangelo a dipingere e non è stato per denaro che Colombo si imbarcò sulle tre caravelle.

Il denaro è vigliacco, per questo viene sempre dopo: viene per ricoprire i grandi e renderli molli e deboli.

Io ho tutto quello di cui ho bisogno: ho l'amore di Lorraine e la fedeltà di Marilyn, e ho la consapevolezza di essere il più grande, qui ed ora. Io ho primeggiato, e con i loro cartellini mi ci pulisco il culo."

Quindi se ne andò.

6

Lo rividi altre due volte, a distanza di poco tempo una dall'altra. Mi chiamò per andare ad assistere alla fine di Marilyn, e ci andai.

Quella notte non si potrà mai cancellare dalla mia mente, poco ma sicuro.

Eravamo sulla Terra, in un posto chiamato Orleans, nella Nuova Europa; lui era lì, seduto su quello sterminato e verdissimo prato, e c'era uno stereo di quelli vecchi (invero gli piacevano veramente le cose vecchie), che naturalmente suonava e cantava a squarciagola Nessun Dorma. Mi guardò, strana creatura ammiccante nella semioscurità delle otto e tre quarti e disse: "Saluta Marylyn."

Guardai il cielo e salutai con la mano, perché se avessi parlato avrei potuto scoprire che la mia voce si sarebbe rotta sotto i colpi del pianto. Evan prese in mano un piccolo telecomando e ne schiacciò l'unico pulsante, ed istantaneamente vedemmo una piccola ma luminosissima scia di fuoco attraversare parte del cielo, fino a perdersi in sé stessa.

Fu tutto così irreale, così bello e triste allo stesso tempo, che il pensiero di quel momento mi mette addosso una specie di paura: paura di aver sbagliato tutto.

Comunque tornai al mio lavoro su Marte il giorno seguente.

Dopo tre anni ricevetti l'invito al matrimonio di Evan con Lorraine; mi maledico ancora adesso per aver accettato quell'invito.

Ci andai e morii un poco, di quella morte interiore che non lascia segni visibili, ma che sempre morte è. Lei era molto bella, la chiesa era molto bella, e i pochi invitati erano molto belli. Lui era molto brutto, ai miei occhi almeno.

Ci osservammo molto e parlammo pochissimo, quel giorno: eravamo imbarazzati, e sapevamo perfettamente perché.

Ciò che in lui c'era di selvaggio era morto, e lo potevo vedere benissimo; i suoi occhi... spenti.

Mi accompagnò lui allo spazioporto e restammo in silenzio per tutto il tragitto. Solo alla fine, quando io ero ormai sul nastro trasportatore che portava nella pancia del razzo, mi chiamò.

Mi voltai, e per un attino rividi quello sguardo da lupo affamato; mi disse solo questo: "Quello che cerchi in me è rimasto su Saturno, inciso sulla piastra dei record. Se passerai di là, ogni tanto, sorridi e ricorda: sorriderà anche Evan Rexall."

Se ne andò, ed io feci altrettanto.

Epilogo

Non l'ho mai più rivisto, e ne sono felice: fece troppo male, quella volta; però ogni tanto ci passo, davanti a quella piastra.

Sorrido.

E sorride anche lui.