Delos 25: Racconto racconto di

Pier Luigi Ubezio

quod erat

demonstrandum

Il secondo racconto presente in questo venticinquesimo numero di Delos è frutto di una mia scelta, ma a sua volta era stato inviato a Silvio per essere giudicato dal mitico direttore della nostra rivista (dovevo dirlo, soprattutto la faccenda del mitico, altrimenti mi aspettava la sedia... elettronica), e io ho deciso di inserirlo in questo numero più che altro per assonanza di atmosfere con il racconto di Colombo. Non è affatto male, un modo abbastanza suggestivo e originale (soprattutto personale) di rivisitare il vecchio cliché di Lucifero. Lo stile è pulito e secco, anche se un po' spartano, e in certi punti risente di cadute di tono a mio avviso imputabili all'inesperienza dell'autore (inesperienza professionale, intendo dire), ma nell'insieme è certamente godibile e ci riporta a una narrativa fantastica legata ai lavori di Thomas Dish o di L. Sprague de Camp, uniformandosi alle caratteristiche del racconto precedente e dedicando questo numero di Delos alle componenti più oscure e misticheggianti della letteratura del fantastico. Solo un'annotazione: io avrei cambiato il titolo, ma poi mi sono reso conto che quello che mi era venuto in mente era così bello che ho deciso di utilizzarlo per un mio racconto. Grazie a Ubezio per l'ispirazione, ma che non si parli di appropriazione indebita.

-- Franco Forte

1

Esultate, dunque, o cieli,

e voi che abitate in essi.

Ma guai a voi terra e mare,

perché il diavolo è precipitato sopra di voi

pieno di grande furore,

sapendo che gli resta poco tempo.

Dall'Apocalisse di Giovanni, 12, 12.

Dall'abisso più profondo e freddo, salì; triste di una tristezza infinita, millenaria.

Il sole splendeva, fievolmente minacciato da poche e quasi inconsistenti nubi. Camminava lentamente, scrutando la vita che lo circondava; a passi misurati percorreva una strada ai cui lati riposavano villette quasi identiche tra loro.

Nel giardino di una di esse, un bambino tentava di far volare il suo aquilone giallo.

"Ti ci vuole più spazio."

Il bambino si voltò, senza comprendere il significato del freddo che improvvisamente l'aveva avvolto; senza capire che i soli di tutto l'universo non avrebbero placato quel freddo e quel peso che gravavano sulle spalle del ragazzo, fermo davanti alla staccionata bianca della villetta.

"Volerà", disse il bambino.

Il ragazzo sorrise. "Con un po' più di spazio."

"Volerà", insisté il bambino in tono di sfida. "Sta' a vedere." Prese a correre e lanciò l'aquilone, che quasi subito iniziò la sua caduta.

"Un po' più di spazio."

Il bambino si sedette vicino all'aquilone e strinse i pugni. "Perché non stai sù?Perché!" Si voltò verso il ragazzo che ora non sorrideva più.

"Perché non sta sù?"

"Perché"rispose con voce sommessa il ragazzo, "c'è qualcosa che lo tira... verso il basso."

"Ma perché?", insistette il bambino.

Dal freddo giunse la triste risposta. "Non mi è mai stato dato di capirlo fino in fondo."

Il ragazzo stava appoggiato alla staccionata, curvo e con la testa bassa.

"Be', io vado a vedere la MTV. Ciao", disse il bambino dando un debole calcio all'aquilone.

"Aspetta. Prova ancora una volta", disse il ragazzo alzando la testa.

"Ci sono i video nuovi...", rispose il bambino.

"Come ti chiami?", chiese il ragazzo.

"Adam... Perché ridi?"

"Il tuo aquilone ti aspetta, Adam. Fallo volare."

"Ma MTV..."

"MTV rimarrà al suo posto."

"Anche l'aquilone."

"Il posto dell'aquilone non è per terra, Adam, non ti sembra?"

Il bambino rifletté sulla domanda, e dopo un minuto tornò vicino all'aquilone e lo raccolse. "E tu? Tu come ti chiami?"

"Che ne dici?" chiese il ragazzo, sorridendo.

"Mah... Mi sa che ti chiami... Robert?"

"Hai indovinato."

"Davvero? Ho indovinato?"

"Sì; ma ora lancia l'aquilone: secondo me stavolta andrà bene."

"Sarebbe bello", esclamò sospirando il bambino.

"Ah sì? Meglio della MTV?", chiese il ragazzo socchiudendo gli occhi.

"Be'... mi sa di sì", disse pensierosamente Adam.

"Vai, allora."

Adam iniziò a correre, e nonostante fosse un bambino la sua corsa era abbastanza veloce; lanciò l'aquilone che però anche questa volta iniziò quasi subito la sua parabola discendente. Poi all'improvviso s'impennò e iniziò a salire, come se fosse stato investito da una forte folata di vento.

Non c'era un alito d'aria, però, e il ragazzo fissava l'aquilone e sorrideva, mentre il bambino urlava per la gioia. "Vola! Vola davvero! Oh, che bello! Ehi, Robert, hai visto? Cavoli, avevi ragione: vola! Vola davvero! ." Adam ora non correva più, ma l'aquilone continuava a librarsi nel cielo, spavaldo e agitato.

"Sei felice, Adam?"

"Cavoli, sì, sì, tantissimo!"

"Anch'o, allora".

"Ehi, Robert, voglio farlo vedere a papà", disse Adam voltandosi.

Il ragazzo si stava incamminando. Si voltò. "Meglio di MTV, no?"

"Sì, meglio. Molto meglio".

Aveva lasciato la cordicella, vedendo il ragazzo che si allontanava, ma l'aquilone rimase fermo a mezz'aria, in attesa.

Quando fu lontano abbastanza dalla casa di Adam, il ragazzo si fermò e guardò il cielo sospirando. Quindi riprese a passeggiare, ripetendo la frase che aveva detto il bambino quando aveva visto l'aquilone volare. La ripeté sommessamente, lentamente.

"Vola. Vola davvero. Oh, che bello... Oh, che bello."

2

Dopo avere camminato per una decina di minuti, arrivò davanti alla chiesa della cittadina.

Entrò.

Si sedette sul primo dei banchi, osservando la croce; la chiesa era deserta. Si accese una sigaretta che aveva trovato nella tasca del cappotto e iniziò a fumare.

Improvvisamente una voce si alzò alle spalle del ragazzo.

"Va' via da qui".

Il ragazzo si voltò e vide un uomo sulla quarantina, alto e ben fatto. Aveva una camicia bianca tenuta fuori dai pantaloni.

Il ragazzo si voltò nuovamente verso il crocefisso, sospirando.

"Ho detto: vai via".

Silenzio.

L'uomo si avvicinò al ragazzo e gli si parò davanti, con fare minaccioso.

"Ti hanno informato bene? Sai chi sono, o ti hanno mandato qui senza dirti nulla?", chiese con voce pacata il ragazzo.

L'uomo gli si avvicinò ancora. "Esci da qui, servo: non tentare di resistermi".

Una risata secca e prolungata invase la quiete della chiesa.

"Servo? Servo di chi?", chiese ridendo il ragazzo.

"Del traditore", rispose l'uomo avvicinandosi ancora un po'.

Il ragazzo si alzò e serrò gli occhi.

"Sai qual è il mio nome, dunque?"

"Il tuo nome per me non ha nessuna impor..."

"Il mio nome è Legione", sibilò il ragazzo.

E allora l'uomo capì; si ritrasse di scatto, farfugliando monosillabi e arretrando

sempre più.

"Vai via tu, finché sei in tempo: ci vuole ben altra potestà per cacciarmi da dove decido di sostare, e non è detto che tale potestà possa effettivamente farlo, ora come ora", disse il ragazzo con tono deciso, quindi si voltò verso il crocefisso e disse: "Dopo così tanto tempo, ancora mi sottovaluti. Fino alla fine, pare..."

L'uomo se ne andò in tutta fretta e senza voltarsi.

Il ragazzo rise e aspirò una lunga boccata di fumo.

"Non si fuma nella casa del Signore", disse il prete, che aveva sentito ridere dal suo alloggio. "Ragazzo, spegni quella sigaretta e vattene, oppure resta ma assumi un comportamento degno della casa di Dio".

Il ragazzo guardò il prete.

"Questa è la casa di Dio?", domandò al prete.

"Cos'altro, se no".

"Ma la casa del Signore non è forse tra i cieli?"

Il prete si avvicinò e disse: "La casa di Dio è dappertutto, perché Egli è in ogni dove, ragazzo".

"In ogni dove, certo".

Spense la sigaretta sul pavimento, schiacciandola con il tacco dello stivale. "Le ricorda nulla questo gesto?", chiese al prete indicando lo stivale.

"Cosa..."

"Fa male, prete. Fa male".

"Ma di cosa stai..."

"Non importa, eravamo rimasti al fatto che il Signore abita dappertutto; in tutti i cuori, vero?"

"Ragazzo, se vuoi pregare, prega, ma io devo..."

"Devi assistere padre Murphy, che sta per morire".

Il prete si irrigidì.

"Padre Murphy non sta per morire; una semplice influenza..."

"Una polmonite, prete. Una polmonite a novantun anni si avvicina molto all'idea dell'essere sul punto di lasciare questo mondo".

"Padre Murphy si rimetterà presto e..."

"Tu menti, prete; su questo e su molto altro, non è vero?"

"Esci da qui, ragazzino, e abbi rispetto per quello che non comprendi".

"Mi perdoni padre" disse umilente il ragazzo, "ma volevo solo parlare un poco".

"Ora non ho tempo".

"Dovrai trovarlo, prete", rispose sibilando il ragazzo. "Perché pare che nel tuo cuore ci sia poco spazio per Dio; dove non c'è posto per Lui, c'è posto per me".

"Come ti permetti..."

"Io metto in dubbio la tua fede, prete. Dimostrami il contrario".

La chiesa divenne fredda in un istante, e il prete rabbrividì, confuso.

"Tu... Teppista; ogni giorno della mia vita lo dedico a Lui", esclamò indicando il crocefisso.

"A Lui e alle focose cure dalla signorina Thompson... Prete. Alle calde effusioni che vi fate dietro al tabernacolo su cui Lui soffre in silenzio da duemila anni; ai suoi seni gonfi e al suo ventre umido, prete".

Il prete si sedette di schianto sul banco davanti a quello del ragazzo.

"Un ricatto, dunque", mormorò sconvolto il prete.

Il ragazzo rise.

"Oh, no, mio nero e sciocco uomo. Nessun ricatto. Qualcosa di incommensurabilmente peggiore".

Il prete sollevò gli occhi e li fissò su quelli del ragazzo, in attesa.

"Un giudizio; il mio giudizio".

Il ragazzo si accese un'altra sigaretta e accavallò le gambe.

"Tu sei colpevole, prete: colpevole di essere stato un cattivo servitore di Dio, colpevole di essere un mentitore, un lussurioso, un avido. Sei colpevole: settanta volte sette colpevole".

Piangeva, il prete, mentre il ragazzo parlava.

Ed il crocefisso scricchiolò.

Il ragazzo balzò in piedi e urlò con un milione di voci all'indirizzo del crocefisso: "Non è forse vero?Non è forse la verità quella che ho descritto?Anche io lo posso giudicare! Anche io ho visto i suoi peccati, e anche io provo pena per lui. Tua è la colpa, tuo l'inganno! Hai dato a quest'anima la forza e la volontà di una larva, e hai permesso che in un attimo della sua vita lui ti sentisse. Chi è dunque l'ingannatore? Chi? Passato quell'attimo non ha mai più sentito la tua voce, mai". Poi, con una sola voce e in tono sconfortato, disse indicando il prete accasciato piangente per terra: "Ecco il risultato: un miserabile, patetico vecchio".

Il ragazzo s'incamminò alla volta dell'appartamento di padre Murphy, ma si arrestò quasi subito.

Il prete stava singhiozzando in ginocchio. "Grazie. Oh, grazie, mio Signore. Ora ho capito, ora so... Oh, grazie, mio Dio..."

Il ragazzo guardò il prete e poi il crocefisso. Si voltò e riprese il suo cammino.

Entrò nel corridoio dietro la sacrestia, lo percorse lentamente, ad alla fine arrivò alla stanza da dove provenivano i forti colpi di tosse di padre Murphy.

Entrò.

L'anziano sacerdote era steso su un letto con le spalliere di legno massiccio. Era voltato su un fianco e guardava fuori dalla finestra. Era una bellissima giornata. Anche per un vecchio uomo che stava morendo.

Il ragazzo stava sulla soglia, in attesa.

Padre Murphy tossì ancora una volta, quindi, senza voltarsi, parlò.

"E il numero della bestia è seicentosessantasei". Sorrideva.

Si voltò faticosamente verso il ragazzo.

"Entra pure, nemico mio".

Il ragazzo entrò.

"Come sei pallido, Murphy". Il ragazzo prese la sedia che stava vicino alla porta e la mise accanto al capezzale, quindi si sedette.

"Posso ancora batterti".

"Non sono venuto a combattere".

"Meglio per te".

Risero assieme di gusto per un minuto, quindi il ragazzo pose una mano sopra al petto del prete.

"Soffri molto, vecchio".

"Ancora per poco, se Dio vorrà così".

Il ragazzo sospirò. "Certo, se Dio vorrà così".

Il prete cercò di appoggiare la schiena alla spalliera del letto, ma iniziò nuovamente a tossire. Fu aiutato dal ragazzo.

"Grazie".

"Di nulla, Murphy".

"Ad ogni modo-iniziò il prete-cos'hai combinato al poveretto che si prende cura di me?"

"Oh, nulla, ti assicuro".

"Certo, lasciamo stare i preamboli; come ti sarai reso conto, non mi rimane così tanto tempo", sospirò il prete.

"Ma nulla, una sciocchezza; il fatto è che non capisco perché tu non sia in Vaticano. Tu, uno dei più nobili cavalieri di santa madre chiesa, mandato a morire in una terra che non è la tua, e senza nemmeno il conforto delle mura papali".

"Mmh, sono certo che tu conosci i motivi del mio esilio".

Ci fu silenzio.

"Hai freddo, Murphy?"

"E' una domanda sciocca, demone".

"Vuoi che me ne vada?"

"Ma no, resta invece: se non posso avere la compagnia dei santi, che possa almeno godere della tua".

Risero ancora.

"Cosa hai fatto a padre Rossi, demone?"

Il freddo diventò più tagliente.

"L'ho giudicato davanti al suo Dio".

"Non spetta a te, questo".

"Perché no?In definitiva morirà tra poco più di due anni, e verrà da me. Tornerà dalla signorina Thompson e dalle sue mammelle piene di desiderio: io gli ho dato la possibilità di riscattarsi, non Lui, ma so che non lo farà".

Padre Murphy fece una smorfia di disgusto. "Sei così distorto... La tua morale segue percorsi che nemmeno il più folle dei folli si sognerebbe mai di attraversare".

Il ragazzo si accese una sigaretta.

"Hai deciso di mandarmi anzitempo davanti a Dio?"

Ma il fumo della sigaretta non si avvicinava al prete: formava strani disegni sulla testa del ragazzo, e alla fine assunse la forma di tre sei, senza fluttuare né scomporsi.

"Coreografico".

"Lasciami divertire un po', prete: la tua compagnia mi rattrista".

"Perché? Sto per andarmene, dovresti essere contento".

"Sciocco uomo; dovrei essere contento della tua dipartita?"

"No, non credo".

"Prete, sei stato l'unico che sia mai riuscito a tenermi testa, e ancora me ne stupisco, nonostante sappia la verità".

"E qual è la verità?"

Il ragazzo rise: "Lo sai bene, qual è, Murphy: hai avuto fortuna".

Il prete fissò il ragazzo negli occhi.

"E' così, prete: sei stato sempre in vantaggio, su di me".

"E perché? Posso saperlo?"

Il ragazzo avvicinò il viso a quello del prete. "Sempliemente perché la tua fede si basava su fatti, e non su fantasmi: la tua fede è stata certezza, dal giorno in cui ti rendesti conto della tua vocazione ad oggi".

"E questa la chiami fortuna?"

"Come, altrimenti? L'uomo è una creatura incompleta e stolta, alla quale è stato affidato un compito assolutamente al di sopra delle sue possibilità. Tu sei diverso; tu sei completo. E quindi fortunato".

Padre Murphy rifletté sulle parole del ragazzo, e poco dopo disse: "Hmm, è una teoria interessante, ma credo che tu mi stia tendendo una trappola. E' così? Stai cercando di farmi sentire in colpa?"

Il ragazzo agitò una mano come per scacciare una mosca. "No, non dire sciocchezze".

"Allora parliamo d'altro", disse il prete.

"Va bene".

Il prete si tirò un po' più sù, e si grattò distrattamente una guancia.

"Tutto bene?" chiese il ragazzo.

"Anche troppo, demone: smetti di fare ciò che stai facendo".

"Desideri che faccia tornare la tosse e il dolore ai polmoni, la nausea e la spossatezza? Vorrei saperne il motivo".

"Il motivo è che non ti ho chiesto niente".

"Oh, prete, tu mi meravigli: non sto cercando di comprare la tua anima, stanne certo; vorrei solo..."

Silenzio.

Silenzio.

"Vorresti cosa? Cosa può desiderare il Male?" chiese padre Murphy, tirandosi ancora più sù.

"Quello che vorrei non ti riguarda, Murphy. Ciò che voglio mi è negato da così tanto tempo che nemmeno me lo rammento. Voglio solo che tu adesso non soffra: tu non me l'hai chiesto, e io non te l'ho offerto. L'ho voluto e l'ho fatto".

Il prete si rilassò.

"I tuoi occhi... Per un momento..."

"I miei occhi per un momento sono stai tristi? E ' questo che vuoi dire, prete?"

"Sì", esclamò meravigliato padre Murphy. "E ' possibile che questo accada?"

Il ragazzo si alzò e andò ad appoggiarsi al davanzale della finestra. Sospirò. Con un filo di voce disse a se stesso: "Difetti nelle specifiche".

"Come?" Padre Murphy ora stava seduto senza nessuno sforzo.

"Ti piace stare qui, Murphy?"

"Mi disorienti, demone; come potrebbe farmi piacere morire in una stanza di una casa sconosciuta, in un paese che non è il mio?"

"Ogni paese è il paese di Dio, no?", domandò sorridendo il ragazzo, sempre rivolto alla finestra.

"Non ci provare con me, demone: con altri, forse, ma non con me".

"Oh, lo so, lo so: in Marocco ho compreso molte cose riguardo alla tua essenza, durante il nostro scontro; non credere che non sia a conoscenza della mia totale impotenza nei tuoi confronti. Ma siete così pochi... Così pochi".

Il prete sospirò.

Poi smise di respirare, solo per un attimo: il tempo di rendersi conto che lui, il letto e il ragazzo non si trovavano più nella stanza della canonica, ma in un prato, un prato sconfinato e punteggiato da radi fiori bianchissimi tipici di un paese chiamato...

"Irlanda!" esclamò il prete.

Calde, grandi lacrime presero a scorrere sulle rughe del viso del vecchio prete, lacrime che ben presto traboccarono, nonostante gli argini di carne fossero molto profondi.

"Perché mi fai questo?"

Il ragazzo era a non più di due metri dal letto; raccolse un minuto fiore e lo annusò.

"Perché so che questo era un tuo grande desiderio: il tuo ultimo, finale desiderio: grandi sono stati i tuoi meriti nella vita, Murphy. Non si rifiuta un desiderio così, prete: nessun Dio dovrebbe rifiutarlo".

"Portami dove ero prima, demone".

"No".

"Portamici!", urlò il vecchio balzando giù dal letto.

"Ma...", esitò il prete; si voltò per vedere il letto. C'era solo il prato. Si voltò nuovamente verso il ragazzo.

"Cosa mi stai facendo?"

"Ti sto facendo morire degnamente, nemico mio; ti sto facendo sorridere... Guarda là, prete: un coniglio. Ti piaceva correre dietro ai conigli quando eri bambino".

Un prato, un ragazzo e un vecchio.

E Padre Murphy, pochi minuti prima di morire, corse dietro al suo ultimo coniglio.

Poco dopo si trovò nuovamente nella stanza della canonica, con il ragazzo al suo fianco; non riusciva quasi più a respirare.

"Dunque ti devo dei ringraziamenti, nemico mio".

"Non mi devi nulla, vecchio".

Il ragazzo vide l'anima di Murphy uscire dall'ultimo sospiro di quel vecchio e logoro corpo.

"Vai, Murphy, vai da Lui, ma non fargli troppe domande, nemico mio", disse alzandosi.

Uscì dalla stanza fischiettando.

3

Camminando senza fretta, il signore della tenebre giunse davanti all'ospedale generale.

Entrò.

Lo vide vicino ad uno degli ascensori che portavano ai reparti.

Si avvicinò.

"Gabriele", disse il ragazzo. Sorrideva, ma i suoi occhi erano neri e senza luce, ora.

Gabriele, l'arcangelo di Dio, era vestito con un completo grigio molto elegante. Fumava una Winston e non sorrideva.

"Mi hanno riferito che stai creando dei problemi".

"Ah sì?"

"Proprio così".

"E' un po' tardi per accorgersene, ad ogni modo". Il ragazzo ora non sorrideva più.

"Murphy è gia da noi". Questo disse Gabriele.

"Da voi c'è un sacco di spazio: non mi meraviglia che gli abbiate già trovato un posto".

"Stai violando regole che nemmeno tu puoi violare".

"Non credo".

"Mi è stato ordinato di richiamarti all'ordine".

Il ragazzo scoppiò a ridere; nessuno nel corridoio stava facendo caso alla conversazione tra i due: la confusione regnava sovrana in quella parte dell'ospedale.

Parecchie persone iniziarono a sentire uno strano e ingiustificato freddo. Pensarono tutti all'aria condizionata.

"Perché allora non provi a farmi rientrare nei ranghi?Forse perché sai che ti farei male senza nemmeno impegnarmi più di tanto?Solo Lui può combattermi con una qualche speranza, lo sai questo, vero?Sì che lo sai". Così dicendo il ragazzo si incamminò verso l'ascensore.

"Bel completo", disse squadrando l'Arcangelo mentre le porte dell'ascensore si richiudevano.

Salì al terzo piano.

Cancro.

Il ragazzo sospirò. Rivolse gli occhi al soffitto e disse: "Li hai puniti per deficienze che provengono dalla Tua incuria, Avversario mio".

Entrò nella prima stanza. Un uomo sulla quarantina. Due o tre mesi di vita, non di più. Dormiva.

Iniziò a guarire pochi istanti dopo che il ragazzo fu uscito dalla stanza.

Gabriele si parò di fronte al ragazzo, minaccioso.

"Cosa sai facendo?"

"Li sto guarendo".

"Non ti è permesso".

"Attento", ringhiò il ragazzo. Un milione di voci ringhiarono nell'anima di Gabriele.

L'arcangelo arretrò.

"Torna da dove sei venuto, Gabriele".

L'angelo si fece da parte e disse: "E' mio compito richiamarti all'ordine".

"Richiamami, allora, e poi vattene".

Gabriele si incamminò lungo il corridoio; poco prima di svoltare l'angolo si voltò.

"Non è ancora il momento, ma un giorno avrai ciò che meriti, è sicuro".

"Lo spero, Gabriele, lo spero; vivo per quel giorno".

Gabriele si voltò, e così fece Dite, il signore delle mosche.

Dieci minuti dopo, mentre stava per uscire dal reparto, osservò dapprima distrattamente e poi più a fondo una ragazza.

Una ragazza splendida dello splendore che solo la più pura semplicità può creare.

Un'anima meravigliosa.

Un tormento di tale potenza da far corrucciare la fronte anche al ragazzo.

Si avvicinò. La ragazza piangeva silenziosamente. Osservò nella sua mente e capì che piangeva per via della morte del suo innamorato.

Si sedette. La sala delle macchinette del caffé era deserta.

Lei alzò gli occhi.

Era una meraviglia. Un candore mai visto.

"Posso fare qualcosa per te?"

"Nessuno può più fare nulla". Nera, cieca disperazione.

L'anima della ragazza era come quella di Padre Murphy; forse addirittura migliore.

Allora l'angelo caduto si alzò.

Uscì dalla sala.

Entrò in un luogo che nessun uomo avrebbe mai potuto vedere da vivo, ma la cui anima avrebbe sicuramente percorso dopo aver lasciato il corpo. Scrutò nella penombra fuligginosa tra le anime che fuggivano atterrite dal suo freddo.

Cercò.

Urlò.

"Non posso accettare che tu faccia questo. Non posso permettere, non voglio permettere che tu infligga una tale patimento ad un'anima come quella a cui hai appena sottratto l'amore".

Trovò l'anima del ragazzo. Fuggiva da lui, terririzzata. Urlava.

Il Signore del Male la afferrò e la trascinò via.

Indietro.

Indietro ancòra.

Ancòra più indietro, fino all'inizio della penombra, fino alla bocca del corpo da cui era uscita.

"Rimani lì, e amala ancora e più di prima, o tornerò per trascinarti nel più profondo dei miei abissi".

Rientrò nella sala. La ragazza piangeva ancora, e il ragazzo sentì il desiderio di morte nella sua anima.

Lei alzò la testa.

"Il tuo innamorato vive: vai da lui".

Lei socchiuse le labbra.

"Vai".

La ragazza lo guardò negli occhi, e comprese qualcosa. Solo qualcosa; quel tanto che bastava per farla alzare e correre verso il suo amore, piena di speranza e paura.

Solo nella sala, il ragazzo sorrideva.

4

... Ed il re del freddo e del buio uscì dall'ospedale, pronto per fare ritorno alla sua dimora.

Colmo di tristezza e di sconforto, si avviò sotto la luce di un bellissimo sole.

Poi, Padre Murphy. Seduto su una panchina.

Lo osservava senza sorridere.

Il ragazzo gli si avvicinò.

"Una bassezza, da parte Sua; sei venuto anche tu per richiamarmi all'ordine?", chiese il ragazzo.

"Sì, ma non lo farò", rispose Murphy, che aveva il corpo di un uomo sulla trentina.

"Dunque cosa vuoi, nemico mio?"

"Voglio la tua versione dei fatti".

"Torni da noi, Padre Murphy, abbiamo sbagliato a farla venire qui: penserò io a..."

"Murphy rimane qui, Gabriele". Il ragazzo si voltò.

L'arcangelo di Dio, Gabriele, era dietro di loro.

"Ti avevo sentito, comunque", disse il ragazzo.

"Io, forse..." iniziò Murphy.

"Tu vuoi la mia versione, e l'avrai. Gabriele: vuoi provare a impedirmelo?"

Gabriele stava fermo. "Stai esagerando, Traditore: vuoi approfittare di lui adesso che è ancora confuso a causa della sua dipartita?Non hai limite alcuno?"

"L'avete mandato voi", sibilò il ragazzo.

"Venga con me, Padre..."

"Ti faccio male, Angelo: sei avvertito".

Gli occhi del ragazzo erano neri. Il freddo iniziò ad aumentare.

"Non fare sciocchezze. Se ne accorgeranno tutti", esclamò l'arcangelo.

"Sto per fare qualcosa di brutto, Angelo: vattene ora".

Gabriele fece un passo indietro. "Non osare..."

"Vai, Gabriele, vai ora, o accadrà qualcosa di tremendo: sei pronto ad assumertene la responsabilità?"

Gabriele andò via. Camminava velocemente, senza mai voltarsi indietro.

"Abbiamo poco tempo, Murphy: verranno a riprenderti tra poco, e non voglio scatenare una guerra di tale portata adesso: manca così poco..."

... E si trovarono sulla cima del grattacielo della Pan Am di Manhattan, a New York.

Il ragazzo si appoggiò alla ringhiera di sicurezza e guardò giù: era notte, lì, e il panorama, come al solito, era allo stesso tempo meraviglioso e terrificante.

L'Avversario si voltò verso Murphy.

"Difetti nelle specifiche, Murphy, piccoli difetti".

"Esprimiti più chiaramente, Demone". Murphy si appoggiò a sua volta alla ringhiera.

Il ragazzo si accese una sigaretta e levò le braccia al cielo.

"Me lo ricordo bene, quel giorno, il Giorno: lo osservavo attentamente mentre faceva tutto... Tutto questo", disse indicando con ampi gesti l'orizzonte. "Oh, avresti dovuto vederlo: era qualcosa di... Qualcosa di meraviglioso; stava lì, nel nulla, gli occhi chiusi, la concentrazione assoluta. Dio. Fece tutto così in fretta, così bene. E c'ero anche io, lì, muto e silenzioso, e il mio rispetto e la mia veraviglia erano totali. Ma..." Abbassò la testa e le braccia gli ricaddero stancamente a fianco del corpo.

"Ma?", chiese Murphy. Lo osservava attentamente.

"Ma... Poi fece voi. Era stanco e... tralasciò qualcosa. Ed io... Io ero lì, capisci".

Il ragazzo piangeva.

Satana, il dio degli Inferi, il re del Male, piangeva grandi lacrime, e singhiozzava. Le lacrime erano fredde e limpide, e appena toccavano terra si cristallizzavano.

"Era tutto così perfetto. Ma voi... Troppo deboli per seguire la Sua via; troppo deboli. Vi sareste persi lungo il cammino".

Murphy sia vvicinò.

"E poi?"

"E poi... E poi glielo dissi. Difetti nelle specifiche; non andranno avanti molto; devieranno dalla Via".

Il ragazzo alzò la testa e guardò Murphy.

"E mi fece cadere".

Ci furono diversi minuti di silenzio.

Poi il ragazzo vide delle deboli luci che scendevano dal cielo scuro.

"Stanno arrivando, prete".

"Continua".

"E' tutto qui: da quel giorno, dal primo giorno, vivo per dargli la dimostrazione del suo errore; e il giorno della dimostrazione è vicino, ormai, e Lui non ha alcuna speranza di vittoria. L'uomo ha deviato, e non per libera scelta, ma per colpa dei difetti che Lui non ha voluto nemeno prendere in considerazione: ma quando ci incontreremo di nuovo potrò finalmente dirGli la frase che ho in mente da tanto, troppo tempo".

"Quale frase?"

Le luci erano più vicine.

"Quod demostrandum erat, Nemico mio: come volevasi dimostrare".

Il silenzio calò sui due. Le luci erano sempre più vicine.

"Sono quasi qui, Demone: è meglio che tu vada", mormorò Murphy. La sua voce era roca.

"Non mi credi, dunque?"

"E ' meglio che tu vada".

Il ragazzo sorrise.

"Sì, forse hai ragione: è meglio che vada".

Il ragazzo si incamminò verso l'ascensore. Si voltò per vedere Murphy un'ultima volta.

"Addio, nemico mio".

"Arrivederci, Murphy: diGli che il tempo è poco, ormai, e che la dimostrazione avrà un prezzo: il mio prezzo".

Entrò nell'ascensore quando le luci stavano per arrivare sul tetto del grattacielo.

Le porte si chiusero.

L'inferno aveva nuovamente il suo padrone.

EPILOGO

"Cosa vi siete detti, Murphy?", chiese Gabriele.

"Nulla di importante, credo volesse solo salutarmi".

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