Delos 27: Aldo Carotenuto: La nostra ossessione preferita di

Marco Spagnoli

aldo carotenuto:

la nostra ossessione preferita

Aldo Carotenuto è uno dei maggiori conoscitori e studiosi del pensiero di Jung. Autore di numerosi saggi (I sotterranei dell'anima, La strategia di Peter Pan, La chiamata del Daimon, sono solo alcuni titoli) su svariate tematiche presenti all'interno della psicanalisi. Carotenuto ha pubblicato, recentemente, presso Bompiani Il fascino discreto dell'orrore (pagine 377, lire 16.000) saggio dedicato all'arte, al cinema e alla letteratura fantastica. Un viaggio e uno studio del fantastico e dell' horror da Poe a Stephen King, da Kafka a Bosch.

Delos: Professor Carotenuto, Quentin Tarantino ha dichiarato che la violenza è divertente, da un punto di vista cinematografico. Lei crede che sia un'affermazione fondata?

Carotenuto: Dipende dal significato che diamo alla parola divertente. Se essa diventa sinonimo di "spettacolare", possiamo ben comprendere l'affermazione di Tarantino. La violenza con le sue tinte fosche e con i suoi toni forti è sicuramente spettacolare nella misura in cui ingigantisce, fino alla parodia, i canoni del vivere ordinario.

Delos: Il cinema di avventura oggi è fatto di sparatorie, di morte, di assassinii. Perché la violenza è un ingrediente di successo? E' davvero così indispensabile oppure è solo un alibi per dare sfogo ai propri lati oscuri?

Carotenuto: Il cinema di avventura è all'insegna della spettacolarità e del coraggio: dominano come nei miti, le gesta dell'eroe che, nell'eterna lotta tra il Bene e il Male, si dibatte per una giusta causa; ma non c'è vittoria che possa essere conseguita senza pagare l'amaro prezzo del dolore. Non si tratta, dunque, di un alibi, ma di una sorta di leit motiv dell'esistenza umana reso però a dimensione della grandiosità cinematografica.

Delos: L'horror e il fantastico sono da sempre presenti nel cinema. Che cos'è cambiato dai primi film di questo genere? In che modo si è evoluto il linguaggio di queste pellicole?

Carotenuto: La pura evocazione di questi primi film è stata via via, soppiantata dalla crescente esplicitazione dell'immagine violenta; probabilmente anche in ragione dello sviluppo conseguito dalle tecniche di ripresa e di una progressiva assuefazione dello spettatore alle "scene forti". Ricordo ancora la suspense e la suggestione della scena dell'assassinio nella doccia di Psycho, il film di Alfred Htichcock in cui la semplice visione del coltello bastava a bloccare il respiro...forse dovremmo dire che la cinematografia moderna manca di immaginazione. Tutto è fin troppo reale e fine a stesso, totalmente privo di un piano simbolico e catartico.

Delos: A cosa è dovuto il successo del cinema horror e del cinema fantastico?

Carotenuto: La fascinazione dell'horror nasce da un bisogno provocatorio di sovvertire la realtà, il quotidiano, in maniera dura e inequivocabile. Emergono allora gli aspetti solitamente in ombra della nostra personalità, quelli lungamente sedati dal buon senso comune e che chiedono immediato riscatto.

Delos: E' davvero possibile diventare violenti tramite il cinema?

Carotenuto: Non credo che la violenza sia assimilabile per suggestione indotta, credo piuttosto che le modalità attraverso cui tale violenza si esprime siano imitabili, a patto che sussista una certa disposizione di fondo al gesto aggressivo. Leggere racconti fantascientifici, abbandonarsi a visioni cinematografiche cruente possono essere occasioni per catapultarsi "altrove", in una realtà che, forse, non è del tutto estranea alla nostra natura, ma che proprio perché è visibile costituisce anche un confronto e un avvertimento. Certo, si può sempre cadere vittime della suggestione e pensare che la fiction sia quotidianetà, ma allora ciò che finisce "sotto accusa" è il nostro personale senso critico della realtà.

Delos: A Cannes Wim Wenders presenta un film dal titolo inequivocabile: La fine della violenza. E' davvero possibile, e ha un senso, pensare di limitare l'uso di esempio violenti nei film?

Carotenuto: E' auspicabile che si tratti della fine di quel "realismo" cinematografico e televisivo privo di simbolizzazione, che non lascia spazio all'immaginazione e all'intuizione, dove tutto è fin troppo trasparente e autentico. La vera violenza è proprio quella che annienta la speranza, quella che ci lascia senza parole e senza pensieri. Recuperare una dimensione simbolica dell'immagine, significa recuperare la propria capacità di intervenire sui dolori della vita. In questo senso La fine della violenza potrebbe essere la morte dello spettatore passivo.