Delos 28: Pensiero Stocastico Pensiero Stocastico

di Roberto Quaglia

quaglia@fantascienza.com

un po' di tutto ovvero di fantascienza

ogni tanto guasta

o invece no

Secondo Robert Sheckley, per troppo tempo ormai Roberto Quaglia non è stato famoso. Secondo Ugo Malaguti, è un genio. Roberto Quaglia, ovvero il rappresentante della fantascienza del nostro Paese più famoso all'estero e più sconosciuto in Italia, continua a fare tante domande e a rifiutare tutte le risposte.

Confesso di non avere la minima idea di ciò che sarà scritto nelle prossime righe, e anche nelle prossime pagine, ammesso che ci siano delle prossime righe e delle prossime pagine. Sono quindi nelle stesse condizioni di te che stai leggendo, tranne che per il fatto che tu sai già se ci saranno delle prossime righe e forse anche delle prossime pagine perché le scorgi con la coda inferiore dell'occhio mentre la pupilla scorre su questa frase, e io invece no, anche se lo spero. L'altra differenza è che se tu ti sei costretto all'arduo compito di leggere le astrusità che io ho scritto, io mi sono costretto a scriverle proprio in questo momento (che pur essendo anche il tuo momento in effetti non lo è affatto), compito invero reso particolarmente arduo dal fatto che minimamente non so cosa in effetti scrivere, fatto che però m'incuriosisce più che alienarmi.

Il problema è che mi sono dato un titolo che è quello che tu hai appena letto e che io ho appena scritto, nella speranza che il titolo stesso sia in grado di generare un contenuto ad esso più o meno pertinente o dignitosamente impertinente. In altre parole, è un'abitudine tipicamente umana quella di complicarsi la vita. D'altra parte, è innegabilmente una caratteristica della vita stessa quella di complicare se stessa. Hai visto in quale modo io mi sto complicando la mia. D'altra parte anche tu non scherzi a complicarti la tua perseverando a leggere ciò che innegabilmente stai continuando a leggere. Chissà perché.

Esistono nel nostro linguaggio parole che significano cose precise e ben definite. La parola "plutonio", per esempio, è perfettamente definita: essa rappresenta un certo tipo di atomi aventi ciascuno una certa quantità di protoni, elettroni e neutroni. E' arduo equivocare circa l'oggetto di una discussione incentrata sul "plutonio". O non si capisce nulla a riguardo, o si capisce esattamente di quale atomo di stia parlando. Diversamente, la parola "bello" o la parola "brutto" non significano nulla di ben definito. Tanto divergono negli individui le interpretazioni del significato attribuito a tali vocaboli, che ciò che per taluni è "bello" è per altri "brutto" e viceversa. Stessa cosa accade per vocaboli come "bene" e "male", "giusto" e "sbagliato", "utile" e "inutile", eccetera eccetera. Fin qui, nulla di nuovo. Certi vocaboli, ovvero gli archetipi che essi contengono, sono antichi come il mondo e anche di più ed inoltrarsi in una soddisfacente analisi delle ragioni e dei significati che essi hanno è una faccenda complessa per la quale la nostra striminzita vita non basta, figurarci allora queste poche righe che sprovvedutamente stiamo impilando con il mero dichiarato scopo di confezionare un articoletto vagamente leggibile nonché assai meno vagamente illeggibile.

Il fatto è che ci sono parole che in origine volevano dire ben poco (come la parola "plutonio", la quale vuole dire una cosa sola o giù di lì), che però nel tempo hanno finito per accumulare una tale quantità di significati e interpretazioni da assomigliare sempre di più a quelle altre cose che vogliono dire così tanto ("bene", "male", "giusto" "sbagliato" "Dio"...) che alla fine non ci si riesce più a mettere d'accordo su cosa in effetti esse significhino. Mi riferisco ora in particolare alla parola "fantascienza". Ci sarebbero moltissimi altri vocaboli divenuti equivoci per eccesso di significati aggiunti, ma da queste parti abbiamo preso l'ottima abitudine di occuparci di fantascienza e allora perdonerete la mia ostinazione a limitarmi a questo argomento e, nel presente caso, a questa parola.

Fino a circa mezzo secolo fa la parola "fantascienza" non esisteva nemmeno, e sino ad allora, coerentemente, essa non significava nulla. Esisteva già da qualche tempo il vocabolo inglese "science fiction", ma retrocedendo di qualche decennio eccolo sparire anch'esso. Fu Hugo Gernsback, se non erro, a inventarlo, verso la fine degli anni venti. Esso significava letteralmente "storie di scienza" e definiva quel tipo di narrazioni ambientate in un futuro diverso dal presente in virtù dei progressi tecnici che la scienza avrebbe apportato. Eppure, un tale genere di storie era già esistito in passato, anche se non era ancora chiamato "science fiction". Cos'altro sono infatti le narrazioni di Jules Verne e di H.G. Wells, scritte già alla fine del secolo scorso e all'inizio di questo, se non delle storie di fantascienza? La fantascienza quindi esisteva ben da prima che ci fosse un vocabolo che la definisse in quanto tale. Non è curioso? La fantascienza esisteva nella sostanza ma non in una definizione pertinente che di essa si poteva dare. I libri di H.G. Wells (come La Macchina del Tempo, La Guerra dei Mondi, ecc.) erano dunque dei capolavori di fantascienza, ma nessuno era in grado di dirlo o pensarlo poiché la parola fantascienza non esisteva. Le si poteva apprezzare come storie fantastiche, come storie di viaggi, ma non come le storie di fantascienza che più propriamente esse erano. L'invenzione del vocabolo "science fiction" fu quindi utile per distinguere le storie di science fiction da quelle che tali non erano. E scusatemi per il concetto lapalissiano (la Realtà è spesso lapalissiana, cosa ci volete fare?).

La nascita del concetto "fantascienza", quindi, mise un po' di ordine in merito a questa nuova strana letteratura che nessuno sapeva bene come definire altrimenti.

Sfortunatamente per la facile comprensibilità delle cose, la fantascienza non se n'è stata ferma, disciplinatamente, mantenendosi nel tempo eguale a se stessa, come in genere fanno le letterature fossili. Nei decenni, essa si è evoluta in molteplici direzioni. Come nei miliardi di anni del nostro pianeta, dagli omogenei batteri iniziali la vita si è via via differenziata in tutte quelle miriadi di diverse forme di vita che riconosciamo intorno a noi e di cui noi siamo minuscola parte, così, nel trascorrere di questo nostro secolo la fantascienza si è floridamente evoluta e impetuosamente differenziata in una vasta gamma di manifestazioni eterogenee. Nel cinema, in televisione, nei libri (nicchia ecologica, questa, microscopica rispetto alle prime due, la quale tuttavia contiene il 99% della "biodiversità" nella quale la fantascienza si è nel tempo evoluta) è cresciuta di anno in anno la mole e la varietà della produzione fantascientifica mondiale.

Il risultato è che oggi, entro il contenitore definito con la parola "fantascienza" c'è ormai di tutto. Dalle iper-scientifiche storie di Fred Hoyle al mero distillato d'insulto che per taluni è il principale significato di tale vocabolo (quante volte si legge sui giornali o si sente dire in senso puramente dispregiativo "roba da fantascienza"?).

La proliferazione dei significati della parola "fantascienza" non giova certo alla conoscenza e alla diffusione di quelle grandi opere della fantascienza letteraria che alcuni di noi amano molto. Tuttavia, la proliferazione dei significati nel campo della buona fantascienza letteraria, è un fenomeno splendido e virtuoso, del quale la gran parte dei saccenti docenti, saliti ovunque in cattedra per mai più discenderne, è ben lungi dal rendersi conto. La buona fantascienza letteraria (quelli che sostengono che esista una buona fantascienza cinematografica solitamente si dividono in due: quelli che non hanno mai letto un buon libro di fantascienza e quelli che mentono pietosamente per non umiliare quelli della prima categoria) oggi non è tale se non tiene destramente conto dell'incredibile ammasso di nozioni che l'umanità ha sviluppato in questo straordinario ventesimo secolo. Ai tempi del primo Asimov, lo sviluppo della tecnologia... o piuttosto, delle tecnologie applicative... era l'elemento trainante delle vicende fantascientifiche narrate. Nel tempo, i progressi conseguiti dal sapere umano nei campi della fisica moderna, della sociologia, psicologia e neurologia hanno ampliato i campi della possibile (e inevitabile) estrapolazione, la cui sede ideale di manifestazione è la fantascienza letteraria. La buona fantascienza letteraria, quindi, si è rapidamente arricchita di una miriade di nuovi temi, che in essa possono interagire in quella feconda interdisciplinarietà di cui il campo della ricerca scientifica solitamente difetta. Nel campo della ricerca scientifica, infatti, vengono incoraggiati (finanziati...) quasi solo gli studi finalizzati alla realizzazione di applicativi pratici che possano poi venire commercializzati. La ricerca scientifica fine a se stessa è quindi sempre più rara, perché non si sa se e quando essa produrrà denaro. E inoltre, in campo scientifico vige di norma una netta separazione fra le vare branche del sapere, conseguenza inevitabile dell'iperspecializzazione tesa ai risultati economicamente vantaggiosi di cui ho accennato due frasi or sono. La ricerca scientifica quindi omette di produrre individui che sappiano e capiscano un po' di tutto, premiando ed incoraggiando quelli che si limitano a tendere a sapere tutto di qualcosa (e a ignorare quasi tutto del resto. L'interdisciplinarietà che non conviene agli scienziati è invece utilissima agli scrittori di buona fantascienza. E' proprio nelle sintesi che si traggono estrapolando a partire dal minestrone eterogeneo delle disparate cose che l'umanità oggi sa che si può riuscire a tratteggiare verosimili futuri in grado di restituirci una visione più realistica e illuminata del nostro presente.

Succede allora che un normale lettore di fantascienza, dopo qualche anno o qualche decennio di non troppo rarefatte letture, accumuli inevitabilmente un sorprendente bagaglio di nozioni e consapevolezze "generaliste" (il contrario di "specialistiche"). Tutte le sue nozioni gli sembreranno scontate, così come appaiono a ciascuno le proprie nozioni. Sembrandogli scontate, il lettore abituale di fantascienza si sorprenderà che esse non siano in genere condivise dagli altri, i quali non hanno mai letto fantascienza. Sembrandogli nozioni scontate, inoltre, non saranno per lui un gran motivo di vanto. Perché mai bisognerebbe vantarsi di sapere ciò che normalmente si sa? L'abitudine di vantare ciò che comunemente si sa, infatti, è una prerogativa fornita dall'istruzione istituzionale. La società ti dice che si va a scuola non per imparare, bensì per conseguire un diploma, cioè il titolo di colui che ha imparato. C'è una gran differenza tra l'andare a scuola per imparare o per conseguire un titolo. Personalmente, ricordo di avere conseguito il diploma di maturità imparando in verità pochissimo. Dato che ciò che contava era il titolo di studio, a cosa serviva imparare cose che per lo più non mi interessavano? E non si creda che io sia un'eccezione. La maggior parte degli studenti si comporta a scuola esattamente come mi comportavo io: non fare i compiti a casa tranne quando proprio non se ne può fare a meno per invece più proficuamente copiarli in classe durante le altre lezioni da quei due o tre secchioni che davvero li hanno fatti a casa. E chi mai affronta un compito in classe senza un ottimo armamentario di bigliettini nascosti nelle maniche o altrove? Nessuno va a scuola per imparare, perché tutta la società ti urla che ciò che conta è il titolo che tu sappia qualcosa, anziché il fatto che tu lo sappia davvero. La musica non cambia all'università. Tanto importa il titolo a scapito della vera erudizione, che il sistema universitario italiano è categoricamente imperniato sull'arruffianarsi i docenti. Lo sanno tutti. Soprattutto i docenti, che per diventare tali hanno dovuto eccellere nella suddetta pratica in una misura tale da rendere più consono l'utilizzo di un'espressione idiomatica di volgarità inferiore solo alla mente di chi è disposto a piegarsi all'esercizio della pratica umiliante a cui essa fa riferimento.

Siamo quindi circondati da gente che orgogliosamente vanta i titoli che decretano che essi sappiano qualcosa, poiché l'unico uso che di un titolo puoi fare è quello di vantarlo, dato che ad altro non serve. La conseguenza è che si è portati a ritenere che ci si possa (anzi si debba) vantare di ciò che si sa solo se c'è un titolo che dimostra che lo si sappia.

E' per questo che il buon lettore di fantascienza, che ha imparato un sacco di ottime cose leggendo per anni fantascienza di qualità, e naturalmente non ha da ciò acquisito alcun titolo, non riterrà motivo di vanto le nozioni a tal modo acquisite. E si sorprenderà se, accadendogli di discutere con qualche docente universitario, questi si riveli un totale ignorante in merito a tutte quelle eccellenti faccende che si apprendono unicamente leggendo per anni la buona fantascienza. Essendo ignorante, ma vantando il titolo di colui che sa, tale ipotetico docente universitario reagirà con aperta ostilità al vostro umile tentativo di condividere con lui alcune delle nozioni che avete maturato leggendo fantascienza.

In tale incidente il lettore di fantascienza è destinato ad incorrere per tutta la vita. Circondato da titolati saccenti indisposti ad imparare da chi sia meno titolato di loro, nonché da non titolati ignoranti perfettamente ammaestrati a non imparare da chi non sia più titolato di loro, il lettore di fantascienza avrà sempre l'impressione di discutere coi muri di quei temi inusuali di cui egli sa parecchio ma non ci crede nessuno.

Finché un giorno, per caso, come prima o poi succede sempre, uno dei temi di cui la fantascienza si occupa da decenni diviene di colpo d'interesse generale. Un esempio per tutti: la clonazione. Ed ecco allora dalle alte cattedre sulle quali grottescamente sono appollaiati i titolati dotti profondersi con solenne postura in sciocchezze inaudite, quali neppure un ragazzino che si fosse letto una dozzina di libri di fantascienza oserebbe blaterare. L'ignoranza in cattedra impera e gli sciocchi sudditi del sapere istituzionale bevono il nulla di cui si riempiono cervelli e polmoni per riblaterare successivamente in giro le cavolate udite.

Temo che a tale scempio non vi sia né mai vi sarà rimedio alcuno. Ovunque voi, lettori di buona fantascienza, interloquirete con i vostri dotti ma non titolati argomenti, otterrete l'impressione di guastare umori. La fantascienza guasta la sicumera di chi, povero sia di Immaginario Fantascientifico che di intelligenza critica, è stolido schiavo delle convenzioni che rigidamente sanciscono chi sappia qualcosa che valga la pena di essere saputo. Parlando dei temi della fantascienza a chi della fantascienza buona nulla sappia, farete sempre ai suoi occhi la figura del guastafeste.

Prima o poi, in qualche università di lettere italiana degna di tal nome, la letteratura di fantascienza potrà divenire autentica materia di studio e corso di laurea. Mi dicono che in America succede già. Da quel giorno, forse, la fantascienza non guasterà più. Più probabilmente, saranno i docenti che riusciranno guastare la fantascienza, celebrandola per quello che essa nel frattempo non sarà più.